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SINODO 2009

Siamo arrivati preparati a discutere sulle conseguenze del «pacchetto sicurezza»

ABBIAMO PROTESTATO PER LA DIGNITA' OFFESA

Per qualcuno questo Sinodo che si è occupato della drammatica situazione degli immigrati è stato troppo emotivo; in realtà le nostre chiese hanno discusso ciò che vivono ogni giorno

di Stefano Mercurio

membri del sinodo si recano nel tempio per il digiuno (foto Matteo Ficara)Durante questo Sinodo sono rimasto piacevolmente sorpreso dall’alto livello di «comunione di intenti». Non che sia una cosa rara per un Sinodo, ma certamente è qualcosa di non scontato quando si tratta di temi sensibili quali la sicurezza, l’immigrazione e il «pacchetto sicurezza». Così il Sinodo ha provato a spendere una parola politica, nel senso più alto dell’espressione, come sulla scia del libro di Geremia che aveva dato spunto (pura casualità?) alla predicazione di apertura: «Cercate il bene della città dove io vi ho fatti deportare, e pregate il Signore per essa; poiché dal bene di questa dipende il vostro bene» (29, 7).

La preparazione
Non siamo arrivati al dibattito impreparati. Molte comunità a livello locale avevano già avuto modo di proporre su queste grosse questioni un approccio diverso rispetto alla solita musica che procede ogni giorno dai grandi organi di informazione. Le buone riflessioni introduttive della Tavola valdese e della Commissione d’esame, la loro lettura rigorosa e ragionata del pacchetto sicurezza e del fenomeno dell’immigrazione nonché il lavoro di monitoraggio che la Fcei ha puntualmente fatto in questi mesi attraverso il Servizio Rifugiati e migranti, la discussione permanente su Essere Chiesa insieme (Eci) nonché la natura stessa di moltissime nostre comunità, ormai plasmate da lunghi anni di convivenza, condivisione e contaminazione tra italiani e italiane, stranieri e straniere hanno dato spessore alle singole esperienze. Evangelicità partecipata che a qualcuno ha fatto venire in mente, in qualche modo, un momento del digiuno nel tempio (foto Riforma)la militanza confessante di tempi passati molto più bui del nostro.
Così, il tentativo di prendere sul serio le implicazioni sociali, civili e giuridiche alla luce della nostra etica protestante (e a partire da storie vere, comunitarie e personali) è stata la nota forse più rilevante di questa sessione sinodale. L’etica protestante ha una sua fisionomia (per dirla con A. Gounelle): sa protestare per la verità del Dio della Bibbia contro tutti gli idoli e sa protestare per l’uomo, per l’essere umano contro tutto ciò che lo deturpa, lo umilia, lo aliena. In questo senso, facendo proprio un lungo ordine del giorno sul cosiddetto pacchetto sicurezza, legge 94/2009, il nostro Sinodo è stato pienamente protestante, nel senso anzidetto dal teologo francese. Protestanti ma, aggiungerei anche, capaci di parlare a chi teologo o teologa non è: questo è stato l’altro frutto maturo del lungo dibattito che ha portato all’approvazione unanime del documento finale, che chiede una drastica revisione della legge in questione.

Temi intrecciati
Nella trattazione di quelle tematiche è emerso un filo rosso che ha intrecciato l’uno all’altra le questioni legate a Essere Chiesa insieme, il pacchetto sicurezza e la Cevaa. Questi temi non potevano certo essere trattati a compartimento stagno: il moderatore del Togo (grande assente) non ha potuto essere presente per la firma di un progetto di collaborazione con le nostre chiese perché non ha ottenuto il visto di ingresso. Stesso spiacevole inconveniente è toccato a dei campolavoristi attesi al Centro di Agape che si sono visti rifiutare il visto con la motivazione di «pericolo migratorio».
Tutte quelle cose sono intrecciate tra di loro. Ciò che si è manifestato nel trattare quei temi legati a Essere Chiesa insieme (e questo accade già da diversi anni) è la forza di una «relazione in atto», che ha ormai un passato, una storia presente e un avvenire comune. Il Sinodo non ha trattato dunque degli argomenti ma li ha vissuti su un piano, se così posso esprimermi, confessante. Un corpo, un corpo nuovo ha preso la parola e ha parlato con gesti e fermezza propri di chi si sente messo in causa in prima persona: troppo importante è infatti la storia che abbiamo già percorso con i nostri fratelli del Ghana o del Togo, con le nostre sorelle della Costa d’Avorio o delle Filippine; troppo importante per tradire con il silenzio chi da diversi anni ormai è chiesa insieme a noi.
un momento del digiuno in aula sinodale (foto Riforma)E qui mi allaccio alle parole di una giovane donna, incrociata per le strade di Torre Pellice, secondo la quale quest’anno avrebbe prevalso (e il digiuno di solidarietà con gli immigrati ne sarebbe la controprova) l’emotività, il sentimento, il «ventre» [la cronaca riportava in quei giorni la lenta agonia dei 73 eritrei naufraghi in mare aperto tra l’indifferenza dei molti che sapevano]. È così? La solidarietà con gli immigrati è stata mossa dall’emotività? Non credo che sia esattamente così, almeno per tre motivi.
Il primo l’ho già enunciato. Le nuove limitazioni (e intimidazioni) in materia di assistenza sanitaria, di diritto all’istruzione, di ricongiungimenti familiari, non riguardano semplicemente l’altro, il diverso, lo sconosciuto con cui non condivido nulla. Ma toccano una sfera in cui io, comunità valdese o metodista, sono dentro fino al collo, come corpo ecclesiale. Certo con i suoi chiaroscuri ma, altresì, come oggetto di una promessa. La promessa di Cristo.

Concretezza
Il secondo. Durante il dibattito si è parlato anche di cose concrete, di accordi/convenzioni con le chiese etniche e della necessità di approfondire meglio questa materia. Stessa concretezza e progettualità ragionata ha la proposta di un Gruppo di lavoro per la formazione interculturale dei predicatori laici. Questo percorso formativo, come ha spiegato il prof. Redalié, dovrebbe portare al riconoscimento doppio, un diploma e un ministero. L’esito positivo del percorso, biennale, dovrebbe dar luogo, nelle intenzioni, al «predicatore locale a indirizzo multiculturale» riconosciuto a cura del Circuito.

La cittadinanza
un momento del digiuno in aula sinodale (foto Matteo Ficara)Infine il terzo motivo. Il Sinodo ha individuato l’incompatibilità di alcune norme del pacchetto sicurezza non solo in rapporto alla fede cristiana, (e questa sarebbe un’operazione naturale, «emotiva» come dice la nostra amica, per un Sinodo evangelico che invoca il nome di Gesù Cristo e conosce bene Galati 3, 28; Malachia 3, 5; Levitico 19, 33-34 ecc.) ma anche in rapporto al concetto stesso di cittadinanza, di patto civile, di democrazia liberale e moderna. Ogni democrazia liberale e moderna dovrebbe prendere meno sul serio la propria apologia e i propri miti fondatori per concentrarsi di più sulle sfide della globalizzazione con le sue crescenti migrazioni di massa e inevitabili processi di contaminazione culturale. Lo Stato è veramente all’altezza del compito che gli sta davanti? È questa la domanda, mi pare, che il Sinodo ha inteso realmente porre. E questa non è una domanda emotiva ma una domanda di sostanza.

Tratto da Riforma dell'11 settembre 2009

 
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