Ecumenismo: dibattito critico verso la gerarchia romana dopo le note vicende
SEGUIAMO GESU', NON LA CHIESA CATTOLICA
Inaccettabile la dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede, il dialogo ecumenico continua ma con un altro spirito la fraternità reciproca è a rischio fallimento
di Italo Pons
Vi sono dibattiti sinodali che appaiono come elaborazioni di grandi mosaici: alcuni sorgono dal nuovo, altri ancora sono in fase di restauro. Nel caso di quelli in via di creazione si lavora su grandi linee, che saranno poi completate e sviluppate nel tempo, anno dopo anno; nel restauro invece si tenta di recuperare il dettaglio che restituisca all’opera il suo precedente aspetto. Il dibattito sull’ecumenismo mi è parso come il recupero di tanti dettagli frantumati da un dissesto del terreno sul quale il mosaico poggiava: il cammino ecumenico. La Tavola relazionava come sempre su molteplici incontri, soprattutto a livello internazionale; questi dimostrano l’interesse e la stima nei nostri confronti.
Ciò che differenziava nettamente l’appuntamento di quest’anno erano le recenti prese di posizione «d’oltre Tevere», colte un po’ da tutti come un terremoto sul mosaico ecumenico costruito a fatica, come un processo in corso nella ricerca di rispetto, conoscenza e comunione, seppur con gradi diversi di convinzione. Era dunque prevedibile che il Sinodo reagisse alle recenti decisioni sulla possibilità di celebrare nuovamente la messa in latino e sul documento della Congregazione per la Dottrina della Fede. Infatti questo precisa che l’unica chiesa «sussiste esclusivamente nella sola Chiesa Cattolica» romana e che le chiese nate dalla Riforma del XVI secolo «non possono, secondo la dottrina cattolica, essere chiamate chiese "in senso proprio"».
A far scaturire il lungo e ricco dibattito del Sinodo sono state le relazioni della Tavola e della Commissione d’esame. Lo stesso Sinodo ha poi saputo trovare il coraggio di non arenarsi su posizioni esclusivamente polemiche, su ventilate moratorie degli incontri, o ancora su un’eccessiva accentuazione del ruolo papale. D’altra parte si era avuto un anticipo del tema durante la predicazione del pastore Sergio Ribet, all’apertura del Sinodo, quando, a proposito di certe «invasioni di campo» nell’etica e nella politica (così accentuate in questi ultimi mesi sull’italico suolo) egli ha ricordato a voce alta che «la chiesa non ha il compito di impartire ordini e divieti, ma indicare a donne e uomini la via per crescere nella libertà delle figlie e dei figli di Dio. La chiesa non può chiedere altro se non di obbedire alla Parola di Dio».
Veniamo dunque al dibattito. Non poteva mancare una rinnovata critica all’istituzione romana che, come ogni realtà umana, è soggetta ai suoi processi interni non sempre facili da cogliere e capire. Alcuni momenti sembrano più profetici, altri maggiormente chiusi rispetto all’esterno, altre volte sono un tentativo di conservare e ribadire le proprie posizioni per escluderne altre. «Il problema non è tanto la messa in latino – ha ricordato con passione il prof. Daniele Garrone – ma il ritorno a Trento e di conseguenza alla Controriforma». Si è ricordato come il cammino ecumenico ci abbia insegnato a parlare di ciò che siamo senza ricadere in valutazioni che stabiliscano l’identità dell’altro, a vari livelli, per costituire e definire le caratteristiche, la struttura e l’identità dell’interlocutore. Peraltro non è stata dimenticata la necessità di mantenere viva la distinzione, con un dialogo teologico, tra le posizioni ufficiali, quelle di singole diocesi e quelle dei gruppi di base che sono ancora, malgrado tutto, impegnati nel cammino ecumenico.
Nella discussione diverse voci hanno fatto riferimento all’Assemblea ecumenica di Sibiu: una risorsa di contatti ufficiali capace di produrre e condividere anche percorsi critici nell’ambito cattolico, che la dichiarazione della Congregazione sembra chiaramente smorzare, come ha ricordato la pastora Letizia Tomassone. In questo quadro di discussione si oscillava spesso tra riferimenti storici, politici e sociologici; tutti validi, ma forse superflui per un assemblea di chiese. È pur vero che, come qualcuno ha ricordato, l’unità della chiesa si fonda su un dato teologico – al di là delle sue forme e delle sue contingenze –, in Cristo, là dove due o tre sono riuniti nel suo nome. Per questo occorre pregare e operare.
Come sempre gli interventi hanno fatto riferimento alla molteplicità delle esperienze locali. Nell’insieme queste stentano sempre a trovare un punto di sintesi, strette dall’esigenza di comunicare il vissuto concreto in un tempo limitato dalla clessidra. Vi sono stati veri e propri tentativi di comprendere quale sia, da parte delle diocesi, la reazione alle prese di posizione ufficiali. Alcuni hanno persino inviato lettere alle Conferenze episcopali regionali e restano ancora in attesa di risposte. Inoltre si è riferito come, nel corso di incontri con delegati dell’ecumenismo, qualcuno abbia avvertito tutta la difficoltà e il malessere tra la gerarchia e il cammino del popolo di Dio, titolare, a ogni buon conto, delle promesse di Cristo, come infatti è espresso nel documento approvato dal Sinodo: «Egli è per tutti misericordia che accoglie, giustifica e santifica». Un testo coraggioso e senza tentennamenti che esprime con coraggio un franco dissenso verso Roma – mi sembra che questa dichiarazione vada sulla linea auspicata da un teologo quale Hans Küng quando afferma: «Senza ritornare alle controversie antiche, i protestanti dovrebbero essere più fermi rispetto a certe dichiarazioni di Roma». Cfr. Réforme n. 3198 del 9-15 novembre 2006, «Je veux suivre Jésus pas l’Eglise Catholique» – ma capace ancora di guardare avanti, appunto.
Tratto da Riforma del 14 settembre 2007 |