Chiesa evangelica valdese - home page
sinodo dove trovarci otto per mille
Stampa questa paginaStampa questa pagina
SINODO 2007

Un commento al testo che ha votato il Sinodo contro la pena di morte

HA PERDONATO L'ASSASSINO DI SUA FIGLIA

La storia di Gayle Orr che ha visto uccidere la figlia di 19 anni da un «mostro» aiuta a riflettere sulla forza che scaturisce da un perdono consapevole che può cambiarti dentro

di Gianni Genre

California, 1980. Catherine aveva appena compiuto 19 anni la sera in cui fu assassinata. Senza apparente motivo, con una rabbia folle, Douglas Mickey mette fine a un’esistenza che si affaccia alla vita. La mamma della vittima, Gayle Orr, rimane devastata dal dolore e dall’odio per questo lutto del tutto gratuito, inspiegabile; non crede in Dio, né nella giustizia umana e neppure in una possibilità di riprendere a vivere in modo decente. L’assassino viene rapidamente arrestato e tutti ripetono alla madre distrutta che il processo sarà breve, il responsabile condannato a morte e giustiziato; solo allora – le dicono – troverà sollievo, solo allora ritroverà un pizzico di voglia di vivere.

Gayle impiega parecchio tempo a rendersi conto con orrore che lo Stato, che amministra «la giustizia», sta per commettere un altro omicidio premeditato e legalizzato. È stordita all’idea che si possa uccidere «nel nome della vittima», se non, addirittura, per compiacere un’opinione pubblica che si esprime attraverso la piazza. Quella «piazza» dove affiorano i sentimenti più beceri che abitano la pancia di un popolo che si sente minacciato e offeso.

Dopo otto, lunghissimi, anni dalla tragedia, Gayle riprende a studiare, iscrivendosi anche a un corso universitario dell’Istituto di Psichiatria di Berkeley; deve riuscire almeno a comprendere l’origine del suo astio, dell’impossibilità di ritrovare quel pizzico di pace interiore senza il quale non può continuare a vivere. Inizia anche un lungo viaggio spirituale, nell’approfondimento delle diverse tradizioni religiose e filosofiche, che parlano – tutte – di una prospettiva di pace, di amore. Si trasferisce in Alabama, per stare accanto alla madre gravemente ammalata e inizia ad accompagnarla al culto, domenica dopo domenica. Impiega altri anni ad accettare l’idea evangelica, semplice, ma difficilissima da vivere, che ogni essere umano – da sottolineare l’«ogni» – è un figlio o una figlia amata da Dio: anche lei, Gayle, è amata da Dio, anche sua figlia uccisa, anche l’assassino Douglas sono amati da Dio.

Così, dodici anni dopo l’omicidio, succede ciò che non avrebbe mai pensato potesse succedere: scrive all’assassino, che si trova nel tristemente famoso braccio della morte della prigione di San Quintino. Si incontrano. Crede ancora di incontrare un mostro, come le è stato dipinto, mentre incontra un uomo ormai abbandonato da tutti, consumato da un rimorso che lo accompagnerà oltre la vita terrena. La riconciliazione è adesso possibile, l’esercizio del perdono libera la vita di Gayle e libera anche il cuore di Douglas.

Questa piccola donna americana, che oggi ha 73 anni, gira senza sosta le scuole, le chiese, qualsiasi gruppo di persone che accetti la sua disponibilità a testimoniare. «Non in mio nome» è lo slogan del suo movimento «Familiari di vittime assassinate per la riconciliazione». Gayle definisce il suo incessante impegno (le sono stati dedicati articoli e un libro – La donna che non può essere fermata) come una serie di viaggi della speranza in cui parla della sua esperienza, del perdono che libera, senza la paura di incontrare – come a volte succede – i sostenitori della pena di morte, supportati soprattutto dai mercanti di armi. Lo scorso anno ha attraversato per due settimane la Francia e altri paesi europei; è pronta a venire anche da noi, se la inviteremo, a incontrare coloro che proprio oggi, in Veneto, invocano nuovamente la pena di morte (anzi, il linciaggio pubblico), dopo l’omicidio di Treviso. È pronta a dire anche a loro che, «grazie a sua figlia, paradossalmente, pur nel dolore, ha scoperto il senso della vita». Ha scoperto che «il perdono non è un regalo difficile da fare all’altro, a colui che mi ha offesa così gravemente, ma a sé stessa, perché è la fonte della libertà».

Sono molteplici e molto profonde le motivazioni che soggiacciono all’ordine del giorno del Sinodo volto a sostenere la moratoria mondiale della pena di morte, a mio avviso il più importante di questa assemblea sinodale. Una di queste è iscritta certamente nella vicenda e nelle parole di questa piccola grande donna. Cioè sta nella scoperta dirompente, come lo è stata per Gayle, di che cosa sia la Buona Notizia dell’Evangelo.

Tratto da Riforma del 14 settembre 2007

 
© 2009 Chiesa Evangelica Valdese