Il testo della predicazione del past. Giorgio Tourn durante il culto di apertura del Sinodo straordinario 2003
CHE FAI QUI ELIA?
«3Elia, vedendo questo, si alzò, e se ne andò per salvarsi la vita; giunse a Beer-Seba, che appartiene a Giuda, e vi lasciò il suo servo; 4ma egli s'inoltrò nel deserto una giornata di cammino, andò a mettersi seduto sotto una ginestra, ed espresse il desiderio di morire, dicendo: "Basta? Prendi la mia vita, o Signore, poiché io non valgo più dei miei padri?" 5Poi si coricò, e si addormentò sotto la ginestra. Allora un angelo lo toccò, e gli disse: "Alzati e mangia". 6Egli guardò, e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre calde, e una brocca d'acqua. Egli mangiò e bevve, poi si coricò di nuovo. 7L'angelo del Signore tomo una seconda volta, lo toccò, e disse: "Alzati e mangia, perché il cammino è troppo lungo per tè". 8Egli si alzò, mangiò e bevve; e per la forza che quel cibo gli aveva dato, camminò quaranta giorni e quaranta notti fino a Oreb, il monte di Dio. 9Lassù entrò in una spelonca, e vi passò la notte. E gli fu rivolta la parola del Signore, in questi termini: "Che fai qui, Elia?" 10Egli rispose: "Io sono stato mosso da una grande gelosia per il Signore, per i! Dio degli eserciti, perché i figli d'Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari, e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti; sono rimasto io solo, e cercano di togliermi la vita". 11Dio gli disse: "Va' fuori e fermati sul monte, davanti al Signore". E il Signore passò. Un vento forte, impetuoso, schiantava i monti e spezzava le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. E, dopo il vento, un terremoto; ma il Signore non era nel terremoto. 12E, dopo il terremoto, un fuoco; ma il Signore non era nel fuoco. E, dopo il fuoco, un suono dolce e sommesso. 13Quando Elia lo udì, si coprì la faccia con il mantello, andò fuori, e si fermò all'ingresso della spelonca; e una voce giunse fino a lui, e disse: "Che fai qui, Elia?" 14Egli rispose: "Io sono stato mosso da una grande gelosia per il Signore, per il Dio degli eserciti, perché i figli d'Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari, e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti; sono rimasto io solo, e cercano di togliermi la vita". 15Il Signore gli disse: "Va', rifa' la strada del deserto, fino a Damasco; e quando vi sarai giunto, ungerai Azael come re di Siria; 16ungerai pure Ieu, figlio di Nimsci, come re d'Israele, e ungerai Eliseo, figlio di Safat da Abei-Meola, come profeta, al tuo posto. 17Chi scamperà dalla spada di Azael, sarà ucciso da Ieu; e chi scamperà dalla spada di Ieu, sarà ucciso da Eliseo. 18Ma io lascerò in Israele un residuo di settemila uomini, tutti quelli il cui ginocchio non s'è piegato davanti a Baal, e la cui bocca non l'ha baciato".».
(I Re 19/3-18)
Un abisso ci separa da questo testo: non siamo il profeta, e siamo lungi dalla grandezza tragica di quell'uomo di Dio, che nella tradizione biblica è l'immagine compiuta della profezia, siamo una modesta assemblea di credenti. Non siamo come lui reduci da uno scontro epocale tra la fede e l'idolatria, fra l'Evangelo e il potere del male, siamo convenuti per una delle nostre sedute abituali per la gestione dell'esistente. Né siamo giunti qui al termine, come lui, di 40 giorni di penitenza, ma di forse 40 mesi di interrogativi e quella odierna è solo una tappa ulteriore di un cammino nel deserto del dubbio.
E alla domanda, che costituisce il nucleo centrale del testo: che fai qui Elia? Chi oserebbe rispondere: "sono mosso da gelosia per l'Eterno degli eserciti" ? Responsabili, forse inquieti ma non dilacerati dalla passione per Dio, preoccupati sì ma forse più per noi che per lui e la verità.
Eppure, con tutte le dovute cautele, evitando facili accostamenti e giochi di ruoli profetici, è lecito ad una assemblea sinodale modesta come la nostra accostarsi a quel racconto e accostare questa pagina della Scrittura alla sua realtà, alla sua situazione.
E' lecito perché questa è per noi la Bibbia, non un Corano con le regole immutabili del credere e del vivere, ma la storia degli incontri che credenti antichi hanno avuto con Dio, così l'hanno letta i predicatori riformati nei secoli da Varaglia a Jurieu, da Baxter a Bonhoeffer. Altri facciano della Bibbia un codice, un repertorio di verità, o una grande enciclopedia di scienze religiose in cui pescare quello che serve alla pietà di ognuno, per noi resta il mondo sconfinato della rivelazione dove uomini e donne credenti e increduli narrano la loro ricerca della verità e sui cui passi ci muoviamo per incontrare Dio e lasciarci incontrare da lui.
Perciò anche la vicenda del profeta all'Horeb, e la tempesta, il silenzio, l'orizzonte in lontananza, possono diventare nostri; con però due avvertenze. Non ci possiamo appropriare del passo, rivestircene come si farebbe con un mantello preso a prestito, identificarci con l'avvenimento; il testo biblico resta tale, noi siamo solo credenti, ogni nostra esperienza non è mai fotocopia della Scrittura.
Ma anche perché la dimensione spirituale del testo è molto più ampia del testo scritto. Il nostro passo ha certo una struttura rigorosa, uno scheletro narrativo, dice e racconta ma la sua sostanza, e anche il suo fascino, sono dati da ciò che sta oltre le parole, nei simboli: il deserto, la grotta, la tempesta, il silenzio; e per quel che concerne il cuore stesso del racconto, la domanda: che fai qui Elia ? la sua forza sta nel tono con cui Elia l'ha udita che noi possiamo solo immaginare, ricordando quello autorevole con cui Dio si rivolge a Mosè, misterioso che usa con Giobbe, dolente come lo sente Osea imprevedibile per Isaia. Molto spesso, forse sempre non comunichiamo i nostri pensieri con le parole ma col tono della voce, ciò che viene percepito non è quello che dici ma come lo dici. Così è forse anche della Scrittura.
La domanda che sta al centro del racconto è quella che poniamo al centro della nostra assemblea: Cosa fai qui ?
Ed ha per noi la stessa urgenza che ebbe per lui, non la dobbiamo considerare di secondo livello perché siamo semplici credenti ed egli è profeta, la domanda di Dio, mossa dalla stessa apprensione e dalla stessa urgenza, è una sola in tutta la Scrittura: “che fai tu qui?” sia rivolta alla chiesa o al singolo credente. All'uomo Dio chiede “Adamo dove sei?”, dove ti collochi nella creazione, quale prospettiva intendi assumere per orientare il tuo cammino nella storia, ai credenti “cosa stai facendo, cercando, guardando qui, ora”.
“Che fai qui... ?”. Che facciamo noi qui oggi ? Elia, ma chi è Elia ?
Non c'è nessun Elia fra noi , ed è rischiosissimo giocare ai profeti; ma se non fra noi in noi, nella nostra chiesa , vi è stato, e vi è un non so che di Elia, così come c'è un qualcosa di Paolo, una traccia di profetico e di apostolico. é bene ricordarci che al di là delle frustrazioni e piccoli mercanteggiamenti pastorali, piccinerie insulse delle comunità, dei risentimenti e delle gelosie che lacerano il nostro tessuto ecclesiastico c'è stata fra noi la Parola, la volontà di dire le cose di Dio, la nostra chiesa ha avuto momenti, sprazzi di apostolato, ed è per quello che siamo qui.
Ma essendo come lui davanti a Dio, ci vediamo qui come si vide lui sull'Horeb? La risposta che egli dava alla domanda fondamentale è quella di un uomo stanco, frustrato: "Non valgo meglio dei miei padri" a se stesso nel deserto e al Signore: “ho vissuto solo per l'Evangelo, ho sacrificato la vita, risultato zero, rifiutano il tuo Regno, profanano il tuo nome, uccidono i tuoi profeti, sono rimasto solo io”, e tutto questo con tono forse risentito, aspro, negativo. é venuto al monte di Dio per rassegnare le dimissioni, per chiudere il capitolo profetico della sua esistenza.
Chissà quanti fra noi sono come lui, uomini rassegnati e donne stanche di fronte ad una testimonianza infruttuosa, con la sensazione di essere stati defraudati del risultato delle attese in cui avevano investito se stessi; forse ogni generazione di credenti, dopo aver percorso il suo cammino di fede fra scontri e passioni, finisce con un bilancio zero e la sensazione di essere l'ultima.
Se le cose stanno così : “Cosa sei venuto a fare qui?” A dirlo, gridarlo, se il caso, Elia non è un disertore dell'Evangelo, di quelli che girano l'angolo e se ne vanno per la loro strada, cosa può fare un credente se non chiedere conto a Dio della sua situazione e del suo fallimento? Cosa sono i salmi se non l'interpellanza senza fine di esistenze che chiedono il come e il perché della fede e della testimonianza. Forse Elia non sa nemmeno lui cosa cerca, gli basta poter dire. Forse anche noi, inconsapevolmente, siamo qui per questo anche se ufficialmente siamo stati convocati per altro.
La nostra assemblea deve infatti trovare soluzioni a problemi di vita ecclesiastica, questioni contingenti gestionali legate alla nostra presenza in Italia, è compito dei sinodi fare questo. Molti intorno a noi guardano, orecchiano, chiacchierano, convinti che siamo radunati per salvare o meno le nostre istituzioni ospedaliere; in realtà siamo qui per altro.
Alla gente (usiamo il termine in modo non generico ma appropriato) interessano gli ospedali non Gesù Cristo, a noi Gesù Cristo e per questo siamo soli come Elia perché tutto questo affollarsi di attese non ha nulla a che vedere con il nostro interrogativo: quale ha da essere il nesso fra la Parola di Dio e noi, quale è insomma la nostra vocazione di credenti.
E siamo soli, come Elia nella caverna.
Dio ha posto la domanda e Elia ha risposto, ma poi è silenzio; la domanda non era retorica, era essenziale, e la risposta non era superficiale, ma sembra non interessare Dio che non da seguito alle dimissioni del profeta, non solo ma si assenta e in tutto quello che da quel momento succede attorno, sul monte terremoto e tempesta Egli non c'è.
E qui entriamo nell'affascinante e complesso universo dei simboli. La caverna è il profondo, il luogo dell'origine, della memoria, dell'inconscio, delle voci e degli interrogativi, il luogo dove l' homo sapiens ha per la prima volta dipinto le sue speranze e i suoi timori; Elia sprofonda nel buio dei ricordi e attorno a lui si scatena l'indicibile. Il terremoto, il vento, il fuoco sono fenomeni inquietanti per un uomo dell'antichità, tradizionalmente letti come manifestazioni di Dio stesso, quando Mosè riceve le leggi il monte è avvolto dal fumo e rimbomba di tuoni, ora però Dio non c'è! Ingenui questi antichi, sprovveduti, dietro il tuono c'è solo lo scaricarsi di elettricità, perché ci dovrebbe essere Dio? Così pensa ognuno di noi.
Vero, ma anche la tempesta, il terremoto, può essere come la caverna un simbolo, un'immagine, di che cosa? Di ciò che ci sovrasta, che né a ragione né l'umano, né la volontà possono controllare, la realtà in cui l'uomo del XX secolo ha cercato l'Assoluto: la Storia; così interpretava il passo Roger Breuil in un bel saggio su Elia scritto negli anni '50.
Quello che passa attorno a Elia e in lui stesso sono le vicende drammatiche dell'epoca di Achab, i conflitti del Medio Oriente dell'VIII secolo, l'urto delle Potenze in cui allora si pensava agissero le divinità, e in tempi recenti, le idee, mentre dentro la storia e dietro la storia non c'è null'altro che le contraddizioni dell'homo sapiens.
Dio non è laddove lo si pensa ed Elia è solo con i suoi pensieri e soltanto all'uscita dalla caverna, dall'abisso di ricordi avrà risposta. Occorre però evitare l'equivoco: Dio non è nel suono dolce più di quanto sia nella tempesta; la brezza serale, la serenità dell'esistenza e la dolcezza del poetare non contengono l'Assoluto più della tragedia della storia. Non c'è Dio nelle grandi opere dello spirito più che sui campi di battaglia, il sogno, gli ideali, i valori sono sempre soltanto nostri come la passione e la violenza.
Ma prima di uscire Elia vive la sua grande esperienza nella caverna. Dio glie ne lascia il tempo. Quanto ? Il testo non lo dice, certo molto, la tempesta, il terremoto, il fuoco non sono sequenze di un film che si vede alla moviola, si sviluppano su tempi lunghi. Si tratta però di realtà che nulla hanno a che fare col problema di Elia.
E' venuto per chiedere conto a Dio del suo destino, per dimissionare ed è costretto a ripensare, ad analizzare il suo ieri e il suo oggi, il senso della sua vita e delle sue esperienze. Alla domanda di Dio egli aveva dato risposta con tutta la passione di un idealista sconfitto ma ora assiste allo scatenarsi del mondo da cui Dio non c'è, è venuto per cercarlo ed egli non si fa vedere, gli fa vedere invece ciò da cui è assente.
Il fatto è che il monte di Dio, l'Horeb, laddove c'è la presenza del Signore non è il luogo dove si fa cura d'anime, dove si analizzano le proprie sconfitte e le proprie frustrazioni e nemmeno è il luogo dove si trova la soluzione e ai problemi, è il luogo dove si fa il bilancio della vita, e forse una lezione fondamentale viene a noi oggi da questo fatto.
I motivi che ci hanno condotti qui sono molto meno drammatici di quelli che hanno condotto Elia all'Horeb; non sentiamo di dover chiudere la nostra presenza in Italia, dire al Signore :'prendi l'anima nostra" anche se siamo consapevoli di non essere migliori dei nostri padri; abbiamo alcune questioni specifiche da risolvere ed intendiamo farlo con ragionevolezza, buon senso, serietà avendo come sempre il riferimento della vocazione evangelica.
Ma se abbiamo udito e fatta nostra la domanda “cosa fai qui Elia?” significa che siamo entrati nella caverna con il nostro problema esistenziale e sentiamo già il terremoto scuotere il nostro rifugio e la tempesta flagellare il mondo e in tutto questo immane groviglio di sensazioni, interrogativi, lacerazioni Dio non c'è.
Quando usciremo dalla caverna il mondo non sarà cambiato perché a tempesta sarà passata e tornato il sereno ma perché nel silenzio interiore ritrovato udremo la chiamata di Dio e come Elia riceveremo una nuova vocazione: torna indietro (che dal punto di vista di Dio significa “ vai avanti”), a Damasco, a Samaria , a scegliere re e consacrare profeti perché non sei solo come pensi ma uno dei cinquemila testimoni del Regno di Dio.
Tutto questo però è il dopo, il futuro, è bene saperlo e appropriarcene ma oggi siamo appena entrati nella caverna ed è forse il caso che iniziamo a fare come Elia il bilancio della nostra vita di credenti, della vita della nostra chiesa negli ultimi cinquant'anni. Il bilancio della nostra predicazione, della nostra pratica ecclesiastica, della nostra teologia della nostra etica. é forse il tempo che valutare il realizzato e il non realizzato come ministri dell'Evangelo, come comunità, come teologi, giovani e vecchi, uomini e donne.
E non si tratta di un rendere conto generazionale il nostro, la generazione del dopo guerra a quella del '68, quella della guerra fredda a quella del dopo muro, la barthiana alla femminista, ma del complesso della nostra predicazione come chiesa, della nostra responsabilità come Elia dell'Evangelo. E al centro del nostro bilancio non stanno problemi gestionali amministrativi ma spirituali
Il bilancio richiede tempo, non si passa dall'emozione alla coscienza, dalla percezione alla chiarezza se non dopo lungo cammino, tutte le conversioni nella storia della chiesa hanno avuto tempi lunghi di incubazione. Impiegheremo anni. L'essenziale per oggi è percepire la voce che ci chiede: “cosa fai, qui, Elia?” |