Si stima che in Italia vivano 160.000 evangelici provenienti da altri continenti
MULTICULTURALITA' E IMMIGRAZIONE
Chi proviene dalle chiese sorelle dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina spesso non si trova a proprio agio nelle nostre chiese. Una sfida per il presente e il futuro di tutte le comunità
di Elisabetta Ribet
Pur essendo stati presentati in Sinodo come tema di importanza
prioritaria, due argomenti che stanno facendo parte della nostra realtà
di chiese da anni non hanno purtroppo avuto spazio sufficiente per essere
affrontati in modo approfondito ed efficace. Si parla della questione
della multiculturalità nelle nostre chiese e della questione di
rifugiati e migranti approdati in Italia che si rivolgono alle realtà
evangeliche italiane per un sostegno, un appoggio. Il tema è ormai
noto; gli spazi di riflessione, almeno in teoria, esistono e fungono,
cosa importantissima, da ponte per le chiese valdesi e metodiste non solo
verso le altre realtà evangeliche italiane (attraverso il Servizio
rifugiati e migranti e il programma "Essere chiesa insieme"
della FCEI,
per esempio) ma anche verso le altre chiese del pianeta, in particolare
quelle del Sud del mondo e della Cevaa-Comunità
di chiese in missione.
Manca molto. La commissione ad referendum "Essere chiesa insieme",
nella sua relazione al Sinodo, mette in evidenza alcuni punti deboli di
questo cammino per certo difficile ma sicuramente necessario: la stima
del Srm della Federazione parla di circa 160.000 persone evangeliche provenienti
da altri continenti, il cui numero è in crescita. Ci si chiede
giustamente se non sarebbe l'ora di interrogarsi in modo organico e cercare
di concretizzare "il senso della nostra missione in questo paese",
anche e soprattutto guardando al futuro sempre più multietnico
che ci sta davanti. Una denuncia: "Mentre la nostra scelta è
parsa quasi scontata per le poche centinaia di protestanti comunitari
e nordamericani presenti in Italia, non lo è ancora per le migliaia
di "extracomunitari" provenienti dalle chiese sorelle di Africa,
Asia ed America Latina".
Non è questione di fare convegni e conferenze, aggiunge la commissione,
quanto piuttosto di tentare di dare alle chiese locali delle coordinate
su come affrontare una simile questione, resa ovviamente più difficile
e spinosa da sospetti, paure e tentennamenti in molti casi piuttosto comprensibili.
Questa situazione è profondamente contraddittoria, per moltissimi
motivi. Primo fra tutti, il fatto che dovrebbe far parte della natura
stessa di una comunità di credenti il sentirsi chiamata a essere
luogo di incontro, confronto e accoglienza: la comunità locale
può diventare il primo passo che aiuta a rompere da entrambe le
parti il muro del "ghetto" dell'immigrazione.
Il tempo è poco, il Sinodo lavora, soffre e medita. Alcuni risultati
ci sono: un importante atto di denuncia
dei rischi che comporta la legge Bossi-Fini sull'immigrazione, il sostegno
ai due passi importanti: la casa di accoglienza di Intra e il progetto
missionario a più voci a Mezzano Inferiore (Parma); l'approvazione
dell'animazione proposta dal gruppo sulla pastorale multiculturale del
II distretto. Un'esortazione alle chiese affinché non abbiano paura
di affrontare l'argomento, anche chiedendo supporto alle strutture già
esistenti, in ambito Bmv e Fcei.
Concludendo un'osservazione a margine, una semplice occhiata alla cartina
di tornasole: l'uso del termine "straniero" come quasi-sinonimo
di "persona del Sud del mondo", come per evidenziarne la lontananza,
l'estraneità al nostro mondo, alla nostra cultura. Certo un'espressione
usata, come altre, "per comodità", ma sintomatica di
una distanza e di una difficoltà a relazionarsi all'argomento tutt'altro
che superata. L'ennesimo indizio del fatto che è importante che
sul tema si rifletta insieme in quanto chiese, che l'iniziativa non sia
lasciata alla libera interpretazione e al coraggio di chi osa buttarsi
o semplicemente ha gli strumenti per farlo.
(tratto da Riforma, del 13 settembre 2002) |