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SINODO 2003

Il messaggio di mons. Chiaretti, rappresentante della Conferenza episcopale

DOVE VA OGGI L'ECUMENISMO IN ITALIA?

E' una domanda frequente, fatta con preoccupazione o delusione da chi si aspetta risultati eclatanti e immediati, fatta con speranza da chi sa vivere subito la fraternità ritrovata

di Giuseppe Chiaretti

mons. Giuseppe Chiaretti (foto Riforma)Fratelli e sorelle in Cristo,
intendo esprimere innanzitutto sincera partecipazione ai problemi della diaconia che ora vi affliggono e che sono identici a quelli dei cattolici. Forse vengono a ricordarci che in ogni situazione di bisogno ci rimane sempre il dovere della preghiera incessante e anche del contributo personale dei "cinque pani e due pesci", che consentirono al Signore di fare il miracolo a partire dalla collaborazione di un ragazzo. Auguro comunque che la sofferenza di questo momento non riduca la testimonianza della diaconia.
Dove va oggi l'ecumenismo in Italia? È una domanda che mi sento rivolgere spesso, come se si avesse bisogno di continui colpi di scena o di manifestazioni eclatanti, anziché di vita comune costruita insieme con pazienza e sincerità, in spirito di amicizia fraterna. Il dialogo ecumenico, infatti, non mira a risolvere subito il contenzioso aperto, ma a consentirci di vivere da subito in una fraternità ritrovata; attraverso il battesimo, infatti, facciamo già parte dell'unico corpo totale di Cristo che è la chiesa. La fraternità non è né un vago spirito di famiglia, né una indifferenziata condiscendenza su tutto come se non esistessero più problemi. Magari fosse! Ad esempio, c'è stato di recente in Germania un Kirchentag ecumenico, che conosco solo di riflesso ma che non è possibile ignorare: e non tanto per certi gesti che sono forse più avventurosi che profetici, ma per quella certa "impazienza ecumenica" che l'ha caratterizzato, e anche per le singolari convergenze e aperture, pur se lacunose, sul piano delle ricerche teologiche svolte di comune accordo.

Credo da sempre che quella della seria ricerca teologica, in cui si fa marcia di avvicinamento alla verità anche ridimensionando tradizioni particolari, è in ogni caso la via maestra da battere con coraggio, così come è già avvenuto per il tema una volta molto conflittuale dell'eucaristia, intesa finalmente come "memoriale" della Pasqua del Signore nella sua realtà e integrità, e della giustificazione, anche se restano ancora incertezze pratiche. Bisogna infatti arrivare a Cristo nella sua identità più vera, che solo lo Spirito potrà svelarci appieno quando avremo l'umiltà necessaria per fare tutti un passo indietro nelle sicurezze che non toccano la fede e un passo avanti nella scoperta delle enormi implicazioni di quell'unico comandamento che Gesù ci ha dato come suo: "Amatevi come io vi ho amato". Quell'amore che lui ci ha mostrato con l'offerta della sua vita, con l'amore al nemico e con il perdono, è infatti l'unico percorso valido per vincere la morte, la quale ci incute paura e ci schiavizza, costringendoci a aderire feticisticamente ai nostri idoli, fossero pure le immutabili tradizioni religiose. Questa riflessione ha, ovviamente, una valenza reciproca.
In ogni caso il dialogo ecumenico, con la possibilità che offre di migliori conoscenze, di contatti, di confronti, di sincere amicizie, sta favorendo una sorte di "ibridazione" molto feconda, mediante l'incontro gratificante con le cose migliori dell'altro. Ci si arricchisce reciprocamente, mentre le distanze, non solo affettive, si scorciano.
Ma c'è un'altra considerazione che vorrei fare spassionatamente: mi sembra che alla gran parte del popolo cristiano, e particolarmente ai giovani, le nostre diatribe religiose più o meno argomentate non interessano granché, forse anche perché non ne capiscono i termini né le conseguenze pratiche che derivano da una scelta o dall'altra. Non vorrei avallare nessun riduttivismo confusionario, ma non vorrei nascondermi il problema e non tener conto di questo dato di fatto, almeno per evitare comportamenti cavillosi o dibattiti astratti.

È il caso di ricordare, allora, che nel 2000 è stata elaborata comunitariamente una Charta œcumenica con il suoi 26 concretissimi "ci impegniamo". Se anche qualcuno di questi impegni fosse per qualcuno un po' ostico, ne restano sempre abbastanza per lavorarci su insieme e trovare convergenze comunitarie e di pensiero e di prassi pastorale. Dovremmo insistere di più nella ricerca di queste convergenze, senza con questo minimizzare i nodi teologici che ci impediscono di essere anche visibilmente un'unica chiesa.
Il mondo in questo momento è in ebollizione: manca a esempio uno ius gentium (che, non dimentichiamolo nacque cristiano quando non c'era ancora una consapevolezza e una coscienza planetaria). Tale ius gentium, accanto alla concezione tutta biblica e cristiana della dignità della "persona" umana, di ogni persona umana, con i suoi diritti nativi e inalienabili e i suoi doveri, ha bisogno oggi di essere fortemente rimeditato e rilanciato, viste le gravi conseguenze, ad esempio, di una ambigua pax americana che, partendo da premesse mercantilistiche e da volontà di potenza, non potrà mai sconfiggere con le armi convenzionali l'ira dei popoli o bloccare la marcia degli oppressi, anche quando essi si esprimono insensatamente con la violenza orribile del terrorismo e della vendetta.
La pace allora, intesa cristianamente come sinergia di giustizia verità libertà amore, non può non essere un capitolo da affrontare insieme come chiese. Altro è parlare di pace ognuno per conto proprio, altro è parlare di pace come corpo unitario di redenti, a esempio in Palestina.

Questa attenzione vale anche per altri ambiti. Penso in questo momento al grave problema planetario della salvaguardia del creato. Il dissesto climatico che ci ha colpito in questi tre mesi ha mostrato quanto sia importante il problema dell'acqua, sulla quale però mani rapaci tentano di mettere le loro ipoteche. Tornano alla mente le parole amare di Geremia: "Aquam nostram pecunia bibimus, ligna nostra pretio comparamus" ("ci dissetiamo e ci riscaldiamo pagando a caro prezzo l'acqua e la legna", Lam. 5, 4). Intervenire in tale settore è ormai un imperativo morale per noi e per tutti. Abbiamo già trattato insieme la questione per un lavoro comune, lasciando libertà a ogni chiesa di muoversi nei temi e con le modalità che ritiene più opportune ed efficaci. In merito allo specifico problema dell'acqua posso già annunciare che il 15 novembre celebreremo ecumenicamente sorella acqua a Terni con una festa religiosa e civile insieme.
Tra i tanti problemi che come chiese dobbiamo affrontare (a volte, ahimè, anche così angustianti come quelli economici...), c'è pure la riorganizzazione dell'attività pastorale. Non potrebbe essere altrimenti, perché per questo la chiesa esiste: per evangelizzare, e cioè annunciare l'amore di Dio, di cui Gesù ci ha fatto l'esegesi con la sua stessa vita. È un annuncio particolarmente difficile, perché oggi stanno cambiando velocemente la cultura e la mappa dei desideri, delle ricerche di senso, delle prospettive escatologiche..., anche se la sofferenza, il male morale personale e collettivo, la morte rimangono a inquietarci. Ed è questo immane compito che dovremmo affrontare insieme, andando al cuore del problema. Come dovremmo scambiarci pareri, informazioni, metodologie. E anche questo potrebbe essere un tema di dialogo e di confronto, a partire dal concetto stesso di evangelizzazione, che è sempre annuncio gioioso (buona notizia) e non mai proselitismo ottuso.

Non possiamo disattendere una valutazione di Giovanni Paolo II che interessa tutti i cristiani: "La cultura europea dà l'impressione di una 'apostasia silenziosa' da parte dell'uomo sazio che vive come se Dio non esistesse". Siamo dentro la sfida radicale della secolarizzazione, del consumismo, dello stesso laicismo come progetto di vita; siamo nel cuore di quella singolare inquietudine che Gesù ci ha buttato addosso: "Quando tornerà il Figlio dell'uomo sulla terra, troverà ancora fede?".
Lo Spirito Santo di Dio guidi il vostro lavoro di credenti e il Signore benedica i vostri passi di evangelizzatori della sua pace.

(tratto da Riforma, del 12 settembre 2003)

 
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