Dibattito su come ricostituire il legame fondante tra annuncio e servizio
DIACONIA E CHIESE: DUE MONDI SEPARATI?
Un’apposita commissione ha presentato una densa relazione che verrà inviata alle chiese locali affinché prosegua la riflessione avviata dal Sinodo sul fare diaconia oggi
di Jean-Jacques Peyronel
«La diaconia deve trovare il modo di ritornare a essere appannaggio delle chiese, non deve soltanto sapersi esprimere in modo comprensibile ma deve tornare a costituire uno degli esempi con cui, anche in un periodo di disorientamento sociale, si addita una comunità cristiana evangelica vivente»: così si concludeva la lunga relazione a stampa della Commissione sinodale per la diaconia (CSD). E questo della ricostituzione del legame originario e fondante tra chiesa e diaconia, e tra chiesa locale e opera diaconale, è stato il leit motiv dell’intero dibattito sinodale sulla diaconia. Anche la Commissione d’esame sull’operato della CSD infatti, nelle sue considerazioni finali, ha lamentato che «a parte alcune eccezioni, esiste spesso uno scollamento fra opere e chiese locali». Lo stesso ha fatto la Commissione ad referendum sulle prospettive della diaconia nella chiesa, affermando che la diaconia viene da qualcuno accusata «di essere spesso un mondo a parte, di fatto staccato dalla vita delle chiese e, pertanto, di correre il rischio di presentarsi come una semplice agenzia di erogazione di servizi, e non come segno visibile di una speranza fondata solo sulla promessa del regno di Dio e sulla fede in Gesù Cristo».
Quest’ultima Commissione, istituita dal Sinodo 2002 per aprire una riflessione di fondo sul senso e sulle prospettive della diaconia dopo lo choc provocato dalla cessione degli ospedali, ha presentato una relazione abbastanza esauriente, offrendo una serie di spunti di riflessione così articolati: a) chiesa e diaconia; b) crisi della diaconia e crisi della chiesa; c) laicità: una testimonianza necessariamente implicita? d) la questione del territorio; e) una diaconia o tante diaconie?
Nell’insieme di queste tre relazioni, gli spunti erano tanti e così diversificati che il dibattito che ne è seguito è stato un po’ a zig zag, non riuscendo a seguire e approfondire determinate piste di riflessione. Sono stati però ribaditi alcuni punti fermi quali la necessità di rafforzare o di ricostruire il legame tra opera e comunità locale; l’importanza di sviluppare sempre di più la cosiddetta diaconia «leggera», o meglio comunitaria, accanto a quella «pesante», cioè istituzionale; l’importanza, accanto a queste due forme di diaconia, della diaconia «politica», quella cioè che, oltre a farsi carico dei feriti lungo le strade tortuose della nostra società del benessere, ora in profonda crisi, prende posizione e denuncia tutte le situazioni in cui la dignità umana di qualunque persona viene calpestata.
Alcuni interventi hanno evidenziato i possibili rischi di accentramento della CSD, la quale peraltro sta portando avanti il processo di integrazione e riordino dei servizi auspicato dal Sinodo 2003 e che punta da un lato alla formazione sempre più aggiornata degli operatori e al miglioramento complessivo di tutti i servizi offerti (il cosiddetto «sistema qualità») e dall’altro a una completa integrazione gestionale ed economica onde poter raggiungere una concreta solidarietà tra le varie opere aderenti alla CSD, il che dovrebbe permettere tra l’altro di risparmiare i circa 60.000 euro attualmente pagati alle banche come interessi passivi dalle singole opere. In questo processo in atto, la CSD ha tenuto a definire alcuni criteri orientativi quali: a) attenersi al principio di accentrare i servizi ma non le decisioni; b) valorizzare il ruolo «diaconale» dei Comitati delle singole opere; c) attuare insieme la politica dei progetti e degli investimenti. Per questo la CSD, sostenuta dalla CdE e dallo stesso Sinodo, ha chiesto che l’attuale incontro annuale di lavoro fra presidenti, direttori e CSD si trasformasse in una «assemblea consultiva nell’ambito della quale si discuta e si condivida la programmazione di ogni singola opera e della CSD nel suo insieme, si elaborino i progetti e si esprimano i criteri di utilizzo delle risorse disponibili, nel pieno rispetto delle linee espresse dal Sinodo e che la CSD è chiamata ad attuare».
Uno dei punti qualificanti proposti alla riflessione da parte della Commissione ad referendum, e fatto proprio dalla Tavola, è stato quello relativo alla «testimonianza esplicita» delle opere le quali finora si sarebbero spesso accontentate di una «testimonianza implicita» in nome di «una malintesa applicazione del principio di laicità». Un solo intervento si è detto favorevole a rivedere il nostro modo troppo «travestito» di essere laici mentre un altro ha riproposto il concetto di «evangelicità» delle opere, che però si esprime soprattutto attraverso la qualità e la densità dei rapporti umani esistenti all’interno dell’opera.
Nessun intervento ha accennato alle dichiarazioni emerse dai due convegni organizzati dalla CSD a Firenze: quello della diaconia latina (ottobre 2003) e quello nazionale sulla diaconia (aprile 2004), ambedue citati con una certa rilevanza dalle due commissioni. La CdE in particolare riportava un brano della dichiarazione fatta dalla diaconia latina che parlava di azioni diaconali mirate ad «alleviare ogni sofferenza e annunciare una parola di liberazione; denunciare le cause ideologiche della sofferenza e dell’esclusione, smontare i sistemi che violano la dignità e la libertà». Il silenzio sinodale a questo riguardo è forse dovuto al fatto che la nostra diaconia, per lo meno quella istituzionale, è praticamente assente dai fronti sui quali ha dibattuto il convegno della diaconia latina: quelli delle nuove povertà e dell’esclusione sociale, ambedue legati agli effetti della globalizzazione e al progressivo smantellamento dello stato sociale. Eppure è su questi nuovi fronti, oltre a quello del variegato mondo dell’immigrazione, che si giocherà il futuro della nostra diaconia e quindi delle nostre stesse chiese.
(tratto da Riforma, del 10 settembre 2004) |