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SINODO 2005

Il Patto di integrazione

UNA COMUNE VOCAZIONE

di Valdo Benecchi

il Comitato permanente dell'OPCEMI (foto Riforma)«Patto di Integrazione globale tra le chiese valdesi e metodiste». Questo è stato uno dei temi proposti al Sinodo dalla Commissione d'Esame. L’attuazione del Patto è stata avviata nel 1975 e si è conclusa nel 1979. Giungeva al termine di un lungo processo di avvicinamento tra le due denominazioni evangeliche che risaliva al 1942, quando era stata ipotizzata la fusione per dar vita a un’altra chiesa. Bell’intuizione che non vuol dire fusione né assorbimento, ma un’unione delle chiese locali rispettosa della storia e dell’autonomia delle singole chiese, a livello locale e al livello sinodale. Il Patto fu salutato come un esempio originale di unione e un contributo sul piano ecumenico. Il Patto manifesta l’unità fondamentale di fede e di vocazione di chiese di origine diversa e non voleva essere esclusivo nei confronti di altre denominazioni evangeliche all’opera in Italia. Fu, anzi, un’esperienza che contribuì a far crescere la Federazione delle chiese evangeliche in Italia.
Chi non ha vissuto quel processo forse può ritenere che il Patto di Integrazione sia oggi, dopo tutto, una questione marginale di fronte ai grandi temi che si dibattono nelle chiese e nei Sinodi. In realtà contiene molte indicazioni di riflessione spirituale. Giustamente la Commissione d'Esame ha scritto che «Il trentesimo anniversario del Patto di Integrazione è un evento felice. Sarebbe mancanza di riconoscenza al Signore dimenticare il cammino che Egli ci ha fatto percorrere insieme». Lodevole la decisione dell’Opcemi di pubblicare in un Quaderno di Ecumene i contributi di riflessione sull’argomento emersi nella Consultazione metodista e in altre occasioni.

Il dibattito sinodale si è limitato ad alcuni accenni anche se sono stati abbastanza numerosi gli interventi su alcuni temi che chiamano in causa il Patto: il ruolo dei circuiti, dei predicatori locali, dei pastori locali che fanno parte del patrimonio metodista. Comunque l’anniversario avrebbe meritato un dibattito più ampio accompagnato forse da incalzanti e franchi interrogativi sulla sua attualità e sulla necessità di aggiornare alcuni punti. Non è stato così. Mi sono posto alcuni interrogativi. Forse si tratta ormai di una questione scontata e acquisita che non fa più problema e che non ha più nulla da dire? Si tratta forse di un’esperienza che ha perso per strada la sua specificità? Forse quei lineamenti dottrinali delle chiese evangeliche metodiste fanno ormai parte di una sensibilità spirituale superata? Si è forse trattato semplicemente di mettere in bella mostra gli ultimi scampoli di un evangelismo pietista e risvegliato nel quale il metodismo affonda le sue radici? È vero che il circuito, il predicatore locale, il pastore locale sono espressioni particolarmente care alla tradizione metodista, fanno parte del suo patrimonio, ma anche la nuova nascita, la perfezione cristiana, la santificazione fanno parte di una sensibilità spirituale e di una vita di fede non obsolete la cui riscoperta potrebbe contribuire a rendere feconda la spiritualità dei nostri giorni.

(tratto da Riforma del 9 settembre 2005)

 
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