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SINODO 2006

Alla serata pubblica sinodale in ricordo di Giorgio Peyrot e Giorgio Spini

FEDE E IMPEGNO POLITICO DEGLI EVANGELICI

Il problema non è tanto quello degli schieramenti quanto il vivere laicamente il rapporto con la politica senza sacralizzarla ma costruendo la libertà nella giustizia democratica per tutti

di Alberto Corsani

i relatori della conferenzaUn episodio marginale, visto di persona all’uscita dalla serata pubblica. Due villeggianti, allontanandosi dal tempio, commentano scandalizzati: «Se questo è il loro modo di parlare di Dio, preferisco essere ateo, perché questa è roba da primitivi!». Risponde il secondo villeggiante: «Ma per forza, perché Dio è una cosa primitiva, con tutta la religione». A parte la salacità (?) dei toni, pensiamo alla possibile reazione che queste parole avrebbero suscitato in Giorgio Spini e Giorgio Peyrot: «A questi di Dio ‘un gliene importa punto», avrebbe detto il primo, e il secondo, con l’accurata scelta delle parole che gli era tipica, li avrebbe liquidati: «sono refrattari!». È altrettanto vero, tuttavia, che l’uno e l’altro dei «due Giorgi» avrebbero fatto di tutto per entrare in contatto con queste persone più estranee ai discorsi della fede, e non avrebbero lasciato nulla d’intentato: la loro vita, si può dire, ha tenuto insieme professione e militanza evangelica in un’unica, ininterrotta tensione a portare la Parola, in maniera laica, nella nostra società e vita pubblica; con ostinazione, pervicacia e anche testardaggine, e anche con la consapevolezza di trovarsi di fronte a una cultura e a uno Stato anch’essi refrattari all’esperienza storica del protestantesimo.
Il dialogo un po’ becero e un po’ ingenuo dei due villeggianti fa luce sull’altro lato di quella medaglia con cui si trova ad avere a che fare il nostro piccolo mondo evangelico: non solo un ambiente politico-culturale in preda alla sudditanza psicologica (e spesso anche sostanziale) nei confronti della chiesa di maggioranza; ma anche un humus e una società a cui il discorso su Dio non interessa. Né nella forma «primitiva» né in alcuna altra. Non interessa, non vale come discrimine in Parlamento, se non al momento della conta dei voti – se non ti comporti «così», sei fuori dalla cristianità, cioè dalla nostra cultura, cioè sei senza «radici».

Uno spazio ristretto
Lo spazio è dunque stretto, è fatto di ignoranza e pregiudizi: ma come Peyrot e Spini, durante la guerra di Liberazione e poi di fronte all’Italia che provava a risollevarsi, osarono «dire Dio», così la nostra epoca richiede uno sforzo agli evangelici, in qualunque veste si sentano chiamati in causa. Allora si trattò – lo ha ricordato Marco Ventura, docente di Diritto ecclesiastico e Diritto canonico all’Università di Siena, e dunque in qualche modo discepolo di Peyrot – di avere una forte consapevolezza del momento storico e di rispondere alla «congiura del silenzio» allora imperante. E il testo di Daniele Fiorentino, esponente della Comunità ebraica romana e titolare di Studi nordamericani nelle Università di Macerata e Roma 3, purtroppo impossibilitato a essere presente, faceva presente come le opere di Spini dedicate agli Usa sapessero porre la questione di una «diversità» protestante che poteva arricchire tutti gli interlocutori.

Evangelici in politica
Anche, dunque, i politici evangelici possono e devono rispondere alla necessità di far sentire una presenza anomala ma propositiva in questo Paese. Lo fanno con serietà e consapevolezza, per esempio, i tre che sono intervenuti: Valdo Spini (deputato dell’Ulivo), Lucio Malan, senatore di Forza Italia, e Paolo Ferrero (Rifondazione comunista), ministro della Solidarietà sociale. Se nell’immediato dopoguerra le urgenze erano quelle di far fronte all’emarginazione del mondo evangelico e alla collocazione penalizzante fra i «culti ammessi», ora il discorso si sposta sulla necessità di arrivare a una legge relativa alla libertà religiosa. I passaggi precedenti (a cui concorsero variamente proprio Spini e Peyrot) – come ha ricordato Valdo Spini –, in particolare la trattativa e la stipula dell’Intesa, ebbero il merito di rendere l’Italia un po’ più europea: e il fatto era tanto più significativo essendo questa spinta venuta da una realtà piccola come la nostra.

Alle prese con l’attualità
Oggi la situazione si complica, come appare a tutti, con la presenza della popolazione immigrata nel nostro paese. L’attualità è così entrata d’impeto nella discussione: come conciliare le legittime esigenze di sicurezza dei residenti nelle nostre città con lo spirito di accoglienza e rispetto verso persone che già portano con sé sofferenza e miseria? Alla base delle scelte di alcuni credenti protestanti impegnati in politica (e non appartenenti a nessuna ipotetica e cervellotica lobby) non c’è solo l’appartenenza a uno a all’altro schieramento, ma qualcosa di più profondo che sta a monte.
Così Malan è partito dall’eredità della storia valdese, dalla consapevolezza che la libertà bisogna meritarsela, per ribadire la necessità di una dichiarazione pubblica di accettazione della legislazione italiana che dovrebbe essere richiesta come condizione ineludibile a chi, giunto nel nostro Paese, voglia acquisirne la cittadinanza; e la consapevolezza dell’importanza della religione in questo campo della vita sociale fa sì che essa, nella visione del senatore, non debba essere usata come paravento per comportamenti che potrebbero andare a scapito dei diritti di tutti (e, in particolare, di tutte).

Testimonianza
L’intervento del ministro Ferrero è stato apprezzato come testimonianza evangelica oltre che discorso politico in senso stretto: il suo appello appassionato a favore dell’accoglienza del prossimo è andato di pari passo con la necessità di «predicare la speranza», sulla base non solo delle proprie convinzioni ma soprattutto della fede, che pone al di fuori dei mezzi «solo umani» la possibilità di cambiare l’esistente. Il nostro Dio – ha detto – è un Dio che chiama a libertà, non è un Dio che si lascia strumentalizzare per le battaglie dell’uno o dell’altro (o, peggio, per i presunti «scontri di civiltà»). Non opprime nessuno e non permette che qualcuno sia oppresso in suo nome. E anche Malan aveva ammonito a «non cercare di tirare Dio dalla nostra parte», e a invocare piuttosto il suo aiuto. A questo livello le indicazioni di questi due uomini non si escludono (magari in altre aule sì), anzi si supportano a vicenda, e danno l’impressione (speriamo anche all’esterno) di una chiesa in grado di vivere laicamente il proprio rapporto con la politica. Come piaceva a Spini e Peyrot. Come ha detto in chiusura Daniele Garrone, decano della Facoltà di teologia, la chiesa non deve preoccuparsi tanto degli schieramenti, ma deve fare le sue battaglie, deve scoprire le sue carte, e poi vedere chi sia disposto ad accogliere le provocazioni che – per noi – vengono dall’Evangelo.

Tratto da Riforma dell'8 settembre 2006

 
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