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SINODO 2006

Il testo della predicazione del past. Ermanno Genre durante il culto di apertura del Sinodo 2006

«13Udito ciò, Gesù si ritirò di là in barca verso un luogo deserto, in disparte; le folle, saputolo, lo seguirono a piedi dalle città. 14Gesù, smontato dalla barca, vide una gran folla; ne ebbe compassione e ne guarì gli ammalati. 15Facendosi sera, i suoi discepoli si avvicinarono a lui e gli dissero: “Il luogo è deserto e l'ora è già passata; lascia dunque andare la folla nei villaggi a comprarsi da mangiare”. 16Ma Gesù disse loro: “Non hanno bisogno di andarsene; date loro voi da mangiare!” 17Essi gli risposero: “Non abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci”. 18Egli disse: “Portatemeli qua”. 19Dopo aver ordinato alla folla di accomodarsi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi verso il cielo, rese grazie; poi, spezzati i pani, li diede ai discepoli e i discepoli alla folla. 20Tutti mangiarono e furono sazi; e si portarono via, dei pezzi avanzati, dodici ceste piene. 21E quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, oltre alle donne e ai bambini.»
(Matteo 14/13-21)

un momento della consacrazione al ministero pastorale (foto Riforma)I vangeli raccontano ben sei volte l’episodio in cui Gesù nutre la folla. Perché questa insistenza? Cercheremo di scoprirlo al seguito di Matteo, prendendo innanzitutto in esame il dialogo tra Gesù ed i discepoli, quindi chiedendoci in che cosa consista il miracolo dei cinque pani e due pesci che nutre la folla, infine ci interrogheremo sulla relazione tra la compassione di Gesù e la nostra, che creano condivisione e convivialità.

Al centro del dialogo tra i discepoli e Gesù vi sono due verbi che fanno emergere un contrasto: comprare e dare. I discepoli incarnano l’economia di mercato espressa con il verbo “comprare”: ciascuno pensi ai propri bisogni personali secondo le sue proprie capacità d’acquisto, chi può comprare compri! E chi non può? Chi non può si arrangi! Una relazione di mercato non può farsi carico dei problemi dell’altro, è un problema che non ha soluzione.
Le parole di Gesù intendono introdurre una diversa visione della situazione, una visione che possiamo definire di economia del dono, che si fa carico delle persone: “Date voi loro da mangiare”. Il pane non può continuare a dividere chi lo ha da chi non lo ha. L’economia del dono guarisce anche i discepoli dalla loro economia di mercato, e li rende disponibili al suo servizio. Matteo intende far capire alla sua comunità che la condivisione di ciò che ha nasce nel momento stesso in cui essa prende coscienza di ciò che è. La questione del pane – e dobbiamo oggi aggiungere dell’acqua, a cui molte popolazioni non hanno più accesso diretto - è legata all’economia mondiale, ad un’economia di ingiustizia che rimbalza ogni giorno davanti ai nostri occhi rendendoci, volenti nolenti, complici di questa realtà.
Secondo i dati della FAO, oggi 831 milioni di persone vivono in uno stato cronico di denutrizione. Ogni giorno 24.000 persone muoiono di fame, incluso, ogni minuto, un bambino sotto i cinque anni di età. Per contro, vi sono degli individui che hanno accumulato una ricchezza maggiore di alcuni stati: la somma totale dei beni dei 15 individui più ricchi del mondo è maggiore del PIL di tutti i paesi africani sub-sahariani messi insieme!
Il frate domenicano, giornalista e scrittore latinoamericano Frei Betto, commentando il progetto “Fame Zero” per sradicare la miseria di 53 milioni di brasiliani, ha affermato che “condividere il pane è partecipare di Dio” e che il progetto Fame Zero “è la versione politica della moltiplicazione dei pani e dei pesci compiuta da Gesù per soccorrere la folla affamata. Chi condivide il pane partecipa di Dio. Per questo Gesù ci ha insegnato a pregare “Padre nostro” e “Pane nostro”. In questa prospettiva le Chiese cristiane sono invitate a sostenere le politiche economiche e sociali che intendono costruire relazioni di giustizia e di equa distribuzione delle risorse fra i popoli. Le Chiese non possono sostituirsi ai governi, possono però essere strumenti di giustizia economica che indicano un modo alternativo di affrontare i problemi perché il pane sia il pane di tutti. In questa direzione ci invita l’Alleanza Riformata Mondiale, che nell’Assemblea di Accra 2004, ha proposto alle chiese di inserire nella loro confessione di fede, il tema della giustizia economica nel mondo.

2. Il miracolo di cui qui si parla è la condivisione dei pani e dei pesci che i discepoli portano a Gesù. La terminologia utilizzata da tutti e sei i racconti in cui Gesù nutre le folle è una terminologia tipicamente eucaristica, sono le stesse formule, gli stessi gesti compiuti da Gesù durante l’ultima cena. Qui però c’è una variante non secondaria: col pane anziché il vino ci sono i pesci.
Prima di arrivare ad una tradizione riconosciuta da tutti, di una cena del Signore con pane e vino, vi è stato un lungo percorso e sappiamo che quando pane e vino si imposero, sui tavoli della cena continuarono ad esserci numerosi altri cibi: olive, formaggio, carne, pesce, miele, verdure.
La narrazione di Matteo lascia intra-vedere questa realtà ancora in movimento; dopo la preghiera di Gesù sui pani e sui pesci, dopo che egli spezza i pani, non si fa più alcuna menzione dei pesci. Nella struttura narrativa del testo, si scorge l’intreccio tra la memoria dei pasti condivisi da Gesù con i discepoli e con la gente del suo tempo, e la prassi comunitaria del cristianesimo primitivo in cui la cena del Signore era parte costitutiva del pasto.
Come la manna questo pane non puoi tenerlo in dispensa per i tuoi bisogni, è un pane che può soltanto essere condiviso. Essere chiesa significa vincere la tentazione diabolica di tenere per sé questo pane escludendo l’altro, vincere la tentazione di segnare questo pane con un marchio doc di questa o di quella chiesa. Essere chiesa significa ricevere ogni volta questo pane come un dono che suscita il ringraziamento e chiama la chiesa a lottare perché ogni bocca possa avere il pane quotidiano. “Tutti mangiarono e furono sazi” (v.20). E Matteo aggiunge: oltre ai cinquemila uomini mangiarono anche “le donne e i bambini”(21). L’abbondanza del banchetto a cui Gesù invita non dimentica nessuno, include ogni sua creatura: senza questa inclusione non può esserci la gioia del Regno annunciato.
I discepoli che volevano mandar via la gente pensando al loro pane sono stoppati da Gesù che li invita a condividere l’ospitalità eucaristica in cui tutti sono suoi ospiti per questa grande festa dell’abbondanza. Chi oggi ancora considera la celebrazione della cena eucaristica come momento di separazione, di esclusione ha certamente dei motivi dottrinali per farlo, ma così facendo si appropria della mensa di Gesù, ne fa “la propria cena”, come i corinzi che non aspettavano le sorelle ed i fratelli e mangiavano “il loro proprio pasto”. L’esperienza della conversione dello sguardo che riconosce nella folla fratelli e sorelle con cui condividere la gioia del banchetto messianico è la sfida che sta davanti alla chiesa in ogni tempo.

3. Il terzo aspetto con cui concludiamo la nostra riflessione, Matteo lo pone in apertura della sua narrazione. Vedendo la folla Gesù “ebbe compassione” e guarì i malati. Compassione è parola che indica la sede dei sentimenti, le viscere, ciò che rivela la misericordia ma anche l’ira (Mt.18,23-35). Nel nostro testo chi prova compassione è Gesù; Gesù si è sentito toccato nel cuore delle sue viscere, nel cuore della sua messianicità. Gesù prova compassione, non i discepoli. Se non una critica esplicita vi è certamente un ammonimento rivolto alla chiesa. Come pensare una chiesa cristiana senza “compassione”? Matteo intende sottolineare il fatto che senza compassione non vi è condivisione: se non succede qualcosa dentro di te, i tuoi pensieri restano attaccati ai pani e ai pesci, al tuo cibo, senza scorgere chi non lo ha. Il distacco è dell’ordine della parola che viene da fuori, da Gesù: “date loro voi da mangiare”! La compassione di cui qui si parla non crea paternalismo, non c’è posto per l’esaltazione delle opere di beneficenza per i poveri, non esiste la comunità dei donatori e la comunità di chi riceve e resta nella posizione di assistito. Guai ad una chiesa che organizza tali forme di diaconia! No, condividere il pane significa riconoscere che la chiesa non è all’origine del dono, ciò che dà è anche ciò che riceve: Matteo lo ha appena ricordato alla sua comunità parlando della missione dei dodici: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (10,8).
Matteo però dice anche esplicitamente che la compassione di Gesù può diventare la nostra. Il grande miracolo di questa narrazione è la conversione dello sguardo dei discepoli che in seguito alle parole di Gesù riescono a vedere la folla, ad assumere questa presenza non più come elemento di disturbo ma come vocazione. Una chiesa che non fa l’esperienza della compassione è una chiesa incapace di scorgere i bisogni della gente.
Care sorelle e fratelli, come immaginare l’esercizio di un ministero nella chiesa senza compassione, senza misericordia? Non è un interrogativo retorico perché anche la chiesa, come tutte le istituzioni umane di questo mondo può “funzionare” senza compassione. Noi ci poniamo questo interrogativo nel momento stesso in cui ci accingiamo a riconoscere il ministero di una sorella. Quando l’assemblea sinodale imporrà le mani sulla candidata lo farà chiedendo in preghiera a Dio di rinnovare ogni giorno a noi tutti il dono della compassione che trasforma il nostro sguardo ed il nostro cuore. La compassione è un bene così prezioso che si riveste di modestia e di umiltà, si accontenta di cinque pani e due pesci e si affida alla grazia di Dio che crea l’abbondanza. Amen

 

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