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SINODO 2006

Torre Pellice: per le chiese valdesi e metodiste si sono conclusi i lavori

UN SINODO COSTRUTTIVO E LIETO

Rinnovati ponti di solidarietà e ascolto con l’ecumene protestante, nominato il nuovo professore di storia alla Facoltà di Roma e riconfermata la Tavola valdese

di Claudio Tron

il sinodo valdese (foto Riforma)Sinodo, parola di origine greca che non esiste in questa forma precisa nel Nuovo Testamento, ma che noi usiamo per indicare anche le assemblee dell’epoca apostolica a cominciare da quella descritta in Atti 15: il sinodo o concilio di Gerusalemme. Gli scritti lucani usano tuttavia, in due casi, parole dalla stessa radice e dallo stesso significato. In Luca (2, 44) è detto che una comitiva (synodía) in cui c’erano i genitori di Gesù tornava da Gerusalemme dopo aver partecipato alla festa di Pasqua. Ma in quella «synodía», Gesù non c’era. Era rimasto a discutere nel tempio coi maestri della legge. Poi, però, i suoi tornano a cercarlo. In Atti 9, 7, invece, è narrato che Saulo si recava a Damasco per perseguitare i cristiani e che c’erano uomini che viaggiavano (synodeúontes) con lui. A questi sinodanti Gesù appare in modo piuttosto brusco, come si sa. Due situazioni molto diverse, che hanno, tuttavia, in comune il fatto che ci troviamo di fronte a due comitive in cammino lungo una strada. Sono due comitive, non personaggi del tipo di quelli che accanto a un malcapitato o a una persona qualsiasi passano oltre dal lato opposto. E camminano lungo una strada.
Possiamo leggere il Sinodo 2006 delle chiese metodiste e valdesi facendo tesoro di questo così raro uso biblico? Nei momenti in cui ci siamo accorti che Gesù non era con noi e che forse lo avevamo lasciato nel tempio o da qualche altra parte, siamo tornati indietro a cercarlo? Eravamo una comitiva in cammino o semplicemente un gruppo abbastanza nutrito di persone (s)comodamente sedute a trattare i loro affari? Il giudizio spetta, naturalmente, soltanto a Dio. Ma qualche impressione, almeno, la possiamo formulare.

Il Sinodo, innanzitutto, è sempre più un momento di valorizzazione dei ponti attraverso i quali passa il nostro cammino. Ponti spirituali e di comunione il cui sviluppo rende ridicolo anche il progetto faraonico del ponte sullo stretto di Messina. Al di là dell’Atlantico il legame con le chiese valdesi del Rio de la Plata, rinsaldato negli anni passati da scambi pastorali e delle organizzazioni giovanili, si rivive ogni anno con lo scambio delle visite e dei documenti e toccherà prossimamente le sorelle delle Unioni femminili. Gli ospiti delle altre chiese sono sempre un gruppo nutrito e i loro messaggi segnano solitamente dei momenti forti. Un’occhiata all’aula dava forse quest’anno l’impressione di un calo della presenza di membri delle nostre chiese giunti da fuori Europa; in compenso una solida presenza giovanile non poteva che rallegrare le pur numerose teste grigie e bianche ancora ben rappresentate: ponte fra le generazioni.
Molto opportunamente il moderatore, nel suo messaggio finale, ha sottolineato la speranza rappresentata dalla presenza in Italia sempre più numerosa di fratelli e di chiese evangeliche di immigrati: quest’anno è stata accolta nel nostro ordinamento quella coreana di Hanmaum («un cuore solo») di Milano. Dopo un’insistenza fondata sui motivi di crisi che ci ha fatto riflettere negli anni passati, è pur necessario saper guardare ai doni che il Signore ci mette dinanzi.
Il Sinodo stesso è un dono. Non mancano momenti di tensione o in cui dobbiamo fare scelte che preferiremmo non dover fare. Dobbiamo nominare persone a incarichi che forse interesserebbero diversi fratelli e sorelle, ma dobbiamo sceglierne uno o una sola. È capitato quest’anno per la nomina del nuovo professore di Storia alla Facoltà di teologia. Ci sono a volte opinioni sensibilmente diverse o addirittura opposte su temi su cui è comunque importante pronunziarsi. È capitato quest’anno quando abbiamo sentito come necessità morale dire una parola sul conflitto Israele-Libano. Anche su questo aspetto il moderatore ha sottolineato che nella chiesa nessuno perde. Può non ricevere un incarico o essere minoranza. Ma i più vecchi tra noi possono testimoniare che nemmeno negli anni ruggenti post ‘68 il Sinodo si è spaccato, con buona pace di quello che ne dicono i giornali. Uno può sostenere su un argomento una posizione su cui c’è vera tensione e passare in minoranza, ma ottenere al tempo stesso una votazione lusinghiera a lui favorevole per un incarico a cui è candidato. Magari fosse così nella politica, dove, invece, il dissenso si traduce quasi sempre nella squalifica anche delle persone.

Il Sinodo è anche una scuola. La relazione della Commissione ecclesiologica ci rimette da un paio di anni di fronte alla necessità di riscoprire le caratteristiche proprie di una chiesa protestante. È importante in un paese dove facilmente «pastore» equivale a prete e si può leggere che in occasione di una festa popolare la messa sarà detta da un pastore valdese.
Agli estranei il Sinodo appare forse qualche volta molto serioso. Non è così: serio, sì; serioso, no. I culti, animati con garbo squisito dalla Commissione culto e liturgia attraverso il sorriso di Caterina Dupré, avevano come tema conduttore la gioia. Un sapiente equilibrio tra forme liturgiche consolidate e innovazioni non forzate ci ha messo dinanzi agli occhi la gioia dei frutti della terra, dei colori, della fiammella della candela che con la sua piccola luce illumina la vita anche quando il cesto dei frutti è vuoto e sopraggiunge la morte. Anche questi momenti hanno segnato dei ponti: dal diverso colore della pelle di Jean-Félix Kamba, all’origine svizzera di Corinne Lanoir, ai giovani della FGEI (proprio loro, giovani, hanno meditato per noi la speranza dopo la morte), alla deputata Caterina Griffante, dal ruolo più istituzionale.
La gioia si esprime talvolta anche con le battute di spirito. Terminiamo riportando la migliore: a Ulrich Moeller, moderatore della Chiesa evangelica della Westfalia, che aveva lamentato scherzosamente un raffreddamento dei rapporti tra chiese tedesche e protestanti italiani in conseguenza della vittoria nostra ai mondiali di calcio, il presidente ha risposto che i tedeschi non avevano ragione di brontolare, perché a loro era toccata la vittoria ai mondiali dei cardinali di Santa Romana Chiesa.

Tratto da Riforma dell'1 settembre 2006

 
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