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SINODO 1999

Il dibattito sui temi di bioetica e sulla violenza e abusi contro le donne

PERCHE' CRESCA IL SENSO DI RESPONSABILITA'

Le scienze e le nuove tecnologie possono creare l’illusione di una società senza sofferenza. Tolleranza zero per ogni violenza e abuso sulle donne: «E’ un peccato»

di Monica Michelin Salomon

Il dibattito sinodale, riguardo alla bozza di documento preparata dal gruppo di lavoro sui problemi etici posti dalla scienza, è stato intenso e vivace. Da un lato si percepiva l'intensità dell'aspettativa rispetto a una eventuale presa di posizione del Sinodo su di un argomento specifico (a esempio l'eutanasia, che aveva già fatto discutere, in modo improprio, l'anno scorso). Ci si aspettava risposte che nessuno riesce in effetti a formulare chiaramente, né medici né politici né tanto meno le parti in causa. Questa attesa ha portato e porta ancora, paradossalmente, la chiesa a elaborare o ripensare un'etica sempre più in funzione delle domande e delle sollecitazioni che provengono dalla scienza e dalla società piuttosto che in risposta alle domande dei credenti.

Di fronte a questo divario si pone la bozza di documento sottolineando che «le chiese non devono prendere posizione necessariamente su qualsiasi argomento... esprimono i loro pareri su problemi aperti, cercando di fare chiarezza e promuovendo l'informazione in modo che cresca la consapevolezza e il senso di responsabilità nella società». Dall'altra parte era altrettanto forte e sentita l'urgenza di fermarsi a riflettere con attenzione sulla rivoluzione simbolica che molte di queste pratiche portano con sé. Ad esempio la procreazione medicalmente assistita (Pma) pone in profonda discussione le figure genitoriali. Paternità e maternità, attraversate da molteplici e profonde trasformazioni, necessitano di essere ripensate; si potrebbe dire utilizzando le parole di Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa, che si sta operando «l'eclissi della madre», come corpo simbolico che viene esautorato dalla sua funzionalità. La procreazione basata sull'incontro con l'altro da sé si modifica in riproduzione, in cui il corpo della donna rischia di divenire solamente una sorta di incubatrice.

Al di là delle tecniche in sé, rimane il problema di come porsi nei confronti dei mutamenti sociali e culturali che le tecniche creano; ripensandoli seriamente, senza mettersi immediatamente in una posizione difensiva, preoccupata solo di legiferare o di considerarne i rischi e gli abomini, ma tenendo anche conto delle loro potenzialità positive verso un miglioramento della vita. Nella discussione è stato sottolineato come rischio possibile il rifiuto della sofferenza in senso lato, e di tutti coloro che soffrono, che in ultima analisi è rifiuto della propria imperfezione e della propria morte. E’ necessario invece, come viene ribadito anche all'interno della bozza di documento, scardinare l'illusione di una società senza sofferenza, una società che non è in grado di accettare la sofferenza, così come non sa ancora accogliere la diversità, potrà chiedere aiuto alla scienza per alleviare o eliminare la sofferenza e combattere la diversità creando i presupposti per quel mondo perfetto che molti e molte sognano ma che di fatto non esiste.

Il compito che spetta a tutti e tutte noi è molto impegnativo: si tratta di riflettere e ripensare un'etica non a partire da verità evidenti e chiare che pongano l'assenso o il veto su questa o quella pratica scientifica, ma, al contrario, partire dalla vita reale, dall'accoglienza verso gli ultimi e i sofferenti, considerando che le imperfezioni sono anch'esse doni di Dio e forse Dio può fare grandi cose attraverso di esse. Di imperfezione o di una tragica conseguenza del nostro essere peccatori e peccatrici non si tratta invece quando si parla di violenza contro le donne. In nessun caso la violenza può essere giustificata o possono essere trovate delle attenuanti al gesto quotidiano e gratuito che mina e lede l'integrità della donna.

Attraverso una lettera inviata nel corso dell'estate a tutte le chiese, la Conferenza delle chiese europee (Kek) invita tutti i responsabili delle chiese cristiane di tutta Europa a fare una dichiarazione pubblica sostenendo che «ogni tipo di violenza contro le donne è un peccato, in quanto offesa alla dignità umana». E’ un invito forte e coraggioso ad andare oltre il velo di omertà che ancora avvolge questo tipo di violenza, e a farlo prendendosi come chiese le proprie responsabilità sia nei confronti delle vittime sia nei riguardi di un messaggio biblico e teologico che per troppo tempo è stato distorto e utilizzato a detrimento dell'integrità di una parte dei cielo.

E’ anche un invito a non perdere di vista questo argomento come se fosse secondario rispetto ad altri più urgenti, perché nessun'altra cosa sa, come la violenza, attraversare tutte le confessioni religiose, le classi sociali, le etnie, lasciando ovunque disperazione, rabbia e dolore.

(Tratto da Riforma del 10 settembre 1999)

 
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