Il dibattito sui temi di bioetica e sulla violenza e abusi contro le donne
PERCHE' CRESCA IL SENSO DI RESPONSABILITA'
Le scienze e le nuove tecnologie
possono creare lillusione di una società senza
sofferenza. Tolleranza zero per ogni violenza e abuso sulle
donne: «E un peccato»
di Monica Michelin Salomon
Il dibattito sinodale, riguardo alla bozza di documento preparata dal
gruppo di lavoro sui problemi etici posti dalla scienza, è stato
intenso e vivace. Da un lato si percepiva l'intensità dell'aspettativa
rispetto a una eventuale presa di posizione del Sinodo su di un argomento
specifico (a esempio l'eutanasia,
che aveva già fatto discutere, in modo improprio, l'anno scorso).
Ci si aspettava risposte che nessuno riesce in effetti a formulare chiaramente,
né medici né politici né tanto meno le parti in causa.
Questa attesa ha portato e porta ancora, paradossalmente, la chiesa a
elaborare o ripensare un'etica sempre più in funzione delle domande
e delle sollecitazioni che provengono dalla scienza e dalla società
piuttosto che in risposta alle domande dei credenti.
Di fronte a questo divario si pone la bozza di documento sottolineando
che «le chiese non devono prendere posizione necessariamente su
qualsiasi argomento... esprimono i loro pareri su problemi aperti, cercando
di fare chiarezza e promuovendo l'informazione in modo che cresca la consapevolezza
e il senso di responsabilità nella società». Dall'altra
parte era altrettanto forte e sentita l'urgenza di fermarsi a riflettere
con attenzione sulla rivoluzione simbolica che molte di queste pratiche
portano con sé. Ad esempio la procreazione
medicalmente assistita (Pma) pone in profonda discussione le figure
genitoriali. Paternità e maternità, attraversate da molteplici
e profonde trasformazioni, necessitano di essere ripensate; si potrebbe
dire utilizzando le parole di Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa, che si
sta operando «l'eclissi della madre», come corpo simbolico
che viene esautorato dalla sua funzionalità. La procreazione basata
sull'incontro con l'altro da sé si modifica in riproduzione, in
cui il corpo della donna rischia di divenire solamente una sorta di incubatrice.
Al di là delle tecniche in sé, rimane il problema di come
porsi nei confronti dei mutamenti sociali e culturali che le tecniche
creano; ripensandoli seriamente, senza mettersi immediatamente in una
posizione difensiva, preoccupata solo di legiferare o di considerarne
i rischi e gli abomini, ma tenendo anche conto delle loro potenzialità
positive verso un miglioramento della vita. Nella discussione è
stato sottolineato come rischio possibile il rifiuto della sofferenza
in senso lato, e di tutti coloro che soffrono, che in ultima analisi è
rifiuto della propria imperfezione e della propria morte. E necessario
invece, come viene ribadito anche all'interno della bozza di documento,
scardinare l'illusione di una società senza sofferenza, una società
che non è in grado di accettare la sofferenza, così come
non sa ancora accogliere la diversità, potrà chiedere aiuto
alla scienza per alleviare o eliminare la sofferenza e combattere la diversità
creando i presupposti per quel mondo perfetto che molti e molte sognano
ma che di fatto non esiste.
Il compito che spetta a tutti e tutte noi è molto impegnativo:
si tratta di riflettere e ripensare un'etica non a partire da verità
evidenti e chiare che pongano l'assenso o il veto su questa o quella pratica
scientifica, ma, al contrario, partire dalla vita reale, dall'accoglienza
verso gli ultimi e i sofferenti, considerando che le imperfezioni sono
anch'esse doni di Dio e forse Dio può fare grandi cose attraverso
di esse. Di imperfezione o di una tragica conseguenza del nostro essere
peccatori e peccatrici non si tratta invece quando si parla di violenza
contro le donne. In nessun caso la violenza può essere giustificata
o possono essere trovate delle attenuanti al gesto quotidiano e gratuito
che mina e lede l'integrità
della donna.
Attraverso una lettera inviata nel corso dell'estate a tutte le chiese,
la Conferenza delle chiese europee (Kek) invita tutti i responsabili delle
chiese cristiane di tutta Europa a fare una dichiarazione pubblica sostenendo
che «ogni tipo di violenza contro le donne è un peccato,
in quanto offesa alla dignità umana». E un invito forte
e coraggioso ad andare oltre il velo di omertà che ancora avvolge
questo tipo di violenza, e a farlo prendendosi come chiese le proprie
responsabilità sia nei confronti delle vittime sia nei riguardi
di un messaggio biblico e teologico che per troppo tempo è stato
distorto e utilizzato a detrimento dell'integrità di una parte
dei cielo.
E anche un invito a non perdere di vista questo argomento come
se fosse secondario rispetto ad altri più urgenti, perché
nessun'altra cosa sa, come la violenza, attraversare tutte le confessioni
religiose, le classi sociali, le etnie, lasciando ovunque disperazione,
rabbia e dolore.
(Tratto da Riforma del 10 settembre 1999) |